“Buongiorno, ci sono due lupi che si aggirano qui per la campagna, potete fare qualcosa?” Mi domandano al telefono. L’agricoltore che mi chiama li ha visti lontano ed è possibile che si confonda con cani randagi. Rispondo che dovrebbe segnalare l’avvistamento ai carabinieri forestali. “Io non avevo mai visto i lupi qui, chi li ha liberati? Siete stati voi, gli animalisti.” Capisco che vuole sfogarsi, gli spiego inutilmente che ci sono appena un centinaio di lupi in giro per la Lombardia, soprattutto in montagna nelle valli alpine e dell’Appennino. Dei 4 branchi di una ventina di esemplari in tutto che popolano la pianura, un piccolo branco è segnalato anche nel lodigiano da qualche anno a questa parte.

Nessuno li ha liberati, se non il buon Dio e le leggi della natura: un giovane lupo che lascia il branco può allontanarsi anche centinaia di chilometri. In genere il lupo sta lontano dall’uomo; sono i pascoli e i rifiuti abbandonati ad attirarli, come le loro prede, vicino alle abitazioni. Non c’è una emergenza: i rimborsi dei danni provocati provocati dagli attacchi ai pascoli dei grandi carnivori (lupi e orsi) in Lombardia ammontano a circa 60 mila euro all’anno, nel 2023 in lieve calo rispetto all’anno precedente.

Dei 130 attacchi di lupi censiti in dieci anni (dal 2012 al 2022), la provincia di Brescia ha registrato il maggior numero di aggressioni da lupi con 54 attacchi, davanti a Sondrio con 31. Seguono Como con 17, Pavia con 13, Bergamo con 8, Lecco con 2, Milano, Mantova e Varese con 1. Solo Cremona, Lodi e Monza Brianza non hanno fatto registrare episodi di attacchi. Per questa ragione i 70 interventi finanziati dalle regioni per la prevenzione degli attacchi di lupi, nessuno ha previsto abbattimenti. Si è trattato in genere di recinzioni elettrificate per evitare la dispersione dei pascoli e di buoni cani guardiani per le greggi. Contro gli orsi in trentino, la misura che si sta rivelando più efficace è stata la sostituzione dei cassonetti di raccolta dei rifiuti umidi, tutti chiusi e a prova di sfondamento: devono infatti resistere alla forza di animali maschi che possono raggiungere i 200 chili.

La speranza di trovare da mangiare, attira sia prede che predatori presso gli abitati: è così anche anche per i cinghiali. I cinghiali che circolano liberi nelle campagne sono prevalentemente specie ibridate con i maiali, sfuggiti o liberati dagli allevamenti con la speranza inconfessabile di poterli poi cacciare. Nonostante la selettiva caccia al cinghiale sia aperta in Lombardia da anni, il cinghiale inselvatichito continua imperterrito ad attraversare le strade, causando una ottantina di incidenti all’anno, in genere fatali per l’animale.

I cinghiali in libertà possono essere causa di trasmissione di peste suina (letale per gli animali, ma non trasmissibile all’uomo)? Sì, ma come precisa l’ufficio federale svizzero per la sicurezza alimentare e veterinaria, solo nel caso di suini allevati allo stato libero e “lentamente e su brevi distanze”. “Le attività umane sono le principali responsabili della diffusione della malattia sulle lunghe distanze”, a causa di contaminazione di “impianti, mezzi di trasporto oppure scarti di carne contaminata smaltiti nella natura.”

In regione ingrassiamo 4,5 milioni di maiali e importiamo 700 mila capi dall’estero, la metà dei quali di peso inferiore ai 50 chili. Per arginare il diffondersi di peste suina negli allevamenti la Regione ha stanziato 4,7 milioni di euro di soldi pubblici per inutili recinzioni fisse anti-cinghiali e per impianti automatizzati per la disinfezione dei mezzi adibiti al trasporto degli animali. E diamo la colpa ai cinghiali e all’ambiente.

Andrea Poggio